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Riflessioni sul Natale

Non importa quanto siamo aggiornati, il Natale rimane il simbolo di un periodo (più o meno) piacevole in famiglia.

Anche se so che le guerre, le dittature, la povertà non si fermano per le vacanze; è difficile immaginare che molte persone non avranno nulla da festeggiare. Per quanti articoli di attualità legga, la mia idea del Natale risente solo in piccola parte degli eventi raccontati dai giornali. Gli ultimi giorni dell'anno rimangono chiacchere a voce decisamente troppo alta, torrone su una tovaglia rossa e qualche orribile decorazione che mia nonna mette sempre in tavola.



Scrivo del Natale 10 giorni dopo. Potrebbe non essere più un argomento di tendenza, ma tant'è. Sono sempre in ritardo, dopo tutto, cosa che aggiunge un po' di carattere autobiografico a questo post. Il nuovo anno inizia dandomi prova che il cambio di numero non cambia la realtà di chi sono.

Detto questo, non mi considero una persona al corrente di quel che sta accadendo su questo pianeta. Ciò che so è il risultato delle persone che ho incontrato. Questo è particolarmente vero per la Palestina.

Come ho cercato di esprimere in un altro post, mi sono resa conto che le violazioni dei diritti umani mi colpiscono di più in occasione di una festività 'di famiglia'. Mi sento più triste, mi vergogno di festeggiare, e in qualche modo mi sento colpevole di poter stare vicino alle persone a cui tengo .


Quando ho visto questa foto mi sono sentita come se vivessi in una di quelle palline di Natale con il villaggio innevato isolato dal mondo.

Ramallah, o meglio, il suo gigantesco albero di Natale è uno degli elementi. Il protagonista è Ali, un ragazzino che il 4 dicembre è stato ucciso in un villaggio vicino a Ramallah dai soldati israeliani. Aveva partecipato ad una protesta contro gli insediamenti israeliani . Va detto che, a prescindere da ogni opinione personale sul conflitto israelo-palestinese, costruire un nuovo insediamento significa andare contro gli accordi internazionali e rubare (di nuovo) la terra di qualcun altro. Perfino l'Onu ha dichiarato che essi sono una "violazione del diritto internazionale" (Risoluzione 2334, 2016). Nella zona di al-Mughayyir, ogni venerdì si tengono proteste contro la creazione dell' avamposto di Adei Ad. Secondo un documento dell'ONU del 2013, Adei Ad era stato istituito nel 1998 senza l'autorizzazione ufficiale israeliana. Ma anche in questo caso, come ha riferito il Segretario Generale, "Israele, come potenza occupante, ha l'obbligo di mantenere l'ordine pubblico e garantire che i civili palestinesi siano salvaguardati contro ogni atto o minaccia di violenza", compresa la violenza per mano degli abitanti degli insediamenti. Un articolo più recente del giornale israeliano Haaretz ha confermato le proteste e le violenze dei coloni.


C'è un po' di confusione riguardo l'età di Ali. Alcuni dicono 13, altri 14, o quasi 15 anni. Anche qui, un numero in più o in meno non cambia la realtà. Anche il fatto che la famiglia musulmana di Ali non festeggi il Natale non riduce il dolore di vedere un figlio ucciso.

Il funerale è iniziato proprio davanti all'alberone di Ramallah verso al-Mughayyir. Vedere un corpo avvolto nella bandiera palestinese, una kufiyah attorno alla testa e quell'albero sullo sfondo

- per me - rende questo omicidio ancora più amaro.


Provo la stessa sensazione da palla-di-Natale un paio di giorni dopo in 25. Stavo guardando un video di una protesta contro la demolizione di una casa nel sud di Hebron (altra città in West Bank). Alcune persone in piedi davanti alla propria casa, stanno cercando di fermare le forze d'occupazione. Si vede una ruspa a poca distanza e i soldati israeliani che circondano l'edificio. Mentre un giovane palestinese urla e si dimena contro i soldati, questi rimangono in piedi davanti a lui con mascherina, elmetto e un'arma tra le mani. Sul tetto della casa, donne e bambini fanno la loro parte. Intorno a loro, molte persone si radunano per sostenere la protesta. Dopo aver lanciato granate acustiche e gas lacrimogeni, i soldati se ne vanno.

Il video che segue testimonia la demolizione della casa, probabilmente avvenuta qualche giorno dopo.

(la foto qui sopra è stata presa da un altro articolo. Trovi il video di cui parlo su instagram @eye.on.palestine)


Riesci a pensare a come ci si sente a perdere la propria casa?

O a come ti sentiresti se non potessi considerare la tua casa un posto sicuro?

Ci sono centinaia di casi come questo in Palestina. Secondo l'ufficio per gli affari umanitari dell'ONU (UNOCHA), ci sono in media 65 demolizioni o confische al mese in Cisgiordania (West Bank). Solo ad agosto 225 persone sono state sfollate.

"Di particolare preoccupazione è il crescente ricorso da parte delle autorità israeliane a una procedura accelerata (Ordine 1797) per la rimozione delle strutture appena 96 ore dopo la consegna di un avviso, impedendo in gran parte ai proprietari di essere ascoltati davanti a un organo giudiziario.

Quando le autorità israeliane demoliscono, o costringono la gente a demolire, case e fonti di sostentamento, di solito si rivalgono della mancanza di permessi edilizi rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere per i palestinesi a causa del regime di pianificazione restrittivo e discriminatorio, e non lasciano loro alcuna possibilità di costruzione autorizzata". (UNOCHA, settembre 2020)

La tua vita può cambiare in 4 giorni: dall'avere una casa a non avere niente. Inoltre, oltre alle case private, questi atti colpiscono anche edifici destinati agli aiuti umanitari e per le risorse idriche. In questo caso, a chi già non ha niente, viene lasciato ancora meno.


foto:


sull'occupazione di al-Mughayyir: www.un.org/unispal/document/auto-insert-196674/

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